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Messina, anziana rapinata e abusata da due minorenni. I giovani: il fallimento della nostra società.

Cronaca di oggi: due ragazzi di 14 e 17 anni hanno compiuto una rapina ai danni di un’anziana, che conoscevano in quanto la donna è la nonna di un loro amico. Quest’ultimo è il motivo per il quale, in base alle prime indagini, la donna ha aperto e fatto entrare i giovani con tranquillità. Sono entrati ed hanno cominciato a rovistare, rubare, appropriarsi di tutto ciò che trovavano.


Siamo di fronte ad un reato piuttosto classico, la rapina, tra i più antichi e consolidati della nostra società e di tutte le altre. Ma, quando a commetterla sono dei giovani minorenni, dovremmo farci delle domande, capire dove abbiamo sbagliato. Cosa porta un ragazzo a rubare, tanto per cominciare. Esempi in famiglia sbagliati? Necessità? Cercare la via più facile? Desiderare qualcosa che non possono permettersi? O semplici vuoti da riempire? D’altronde le realtà familiari, alcune soprattutto, sono così complicate a volte, e fragili. Quindi fin qui dovremmo già fermarci, ragionare, capire e porre rimedio. Ma, alt. Non è il reato di rapina il vero protagonista della vicenda anzi, paradosso quasi a dirlo, sembra passare in secondo piano. Perché i giovani hanno fatto qualcosa di più. Ed infatti è la dinamica, il contesto, che davvero disarma di questa vicenda. Questa come altre.


E cosa può esserci di più grave di una rapina? Una colluttazione? Sì, quella c’è stata anche. L'anziana, infatti, è stata trovata con il volto tumefatto, con escoriazioni e ferite. Sangue, graffi, e lividi. Due furie si sono abbattute su di lei, hanno l’età di suo nipote. Cosa porta un giovane ad avere tutta questa violenza?


Una signora anziana che fino all’ultimo ha provato a difendersi, a resistere da quelle furie. Eppure la vicenda non finisce qui. Cosa la rende davvero grave nella dinamica? Un abuso. Una violenza sessuale. Sì, si rimane basiti, esterrefatti, increduli. Può un ragazzo di 14 anni, e uno di 17, abusare di una donna di 90 anni? E soprattutto, è possibile che una vicenda del genere, al di là delle pene che si meritano i giovani, al di là del fatto che le sconteranno o meno, al di là del tradimento di una nonna che ti accoglie in casa, al di là della rapina, non sconvolga ognuno di noi? È possibile accettare che due ragazzini di 14 e 17 anni violentino una donna di 90 anni? Scriviamolo e ripetiamolo più volte quello che è accaduto, anche se ci disgusta, se ci fa male, se ci viene difficile da accettare. Perché ogni giovane che perdiamo è il fallimento di una società intera.

Anche qui, come per l’articolo che pubblicammo su Bibbiano, non racconteremo i dettagli tecnici della vicenda né le indagini. C’è la magistratura, c’è la polizia e tutte le altre forze dell’ordine. Qui il vero problema è culturale. La nostra società è malata. Inorridisce sentire queste notizie quasi che niente fosse. Accendiamo la televisione, apriamo un giornale, o una pagina social. Leggiamo e ascoltiamo. Notizia terribile, almeno su quello siamo tutti d’accordo. Però nulla di più. Passiamo avanti. Come sempre, come per ogni notizia. Ed è questo il problema più grande del nostro tempo. Abituarsi alle tragedie, essere apatici al bello quanto al brutto di oggi.

E se invece oggi, dopo questa notizia, non riprendessimo la nostra vita di sempre? Se decidessimo di fermarci e guardarci dentro. Chi ha delle responsabilità? "La famiglia", verrebbe subito da dire. E ne ha. E poi chi? Gli insegnanti e la scuola? Gli amici? O forse la società tutta?


Chi non si è accorto? Chi non ha capito? Chi poteva salvare un bambino, o un ragazzo, in tempo e non l’ha fatto? È questo che dovrebbe farci riflettere. Ogni bambino, ogni ragazzo, è un uomo del domani. Che società stiamo costruendo con i giovani d’oggi?

Dovremmo interrogarci, dovremmo guardarci, dovremmo fare tutti autocritica. Con i nostri figli, fratelli, nipoti, alunni. I giovani hanno bisogno di guide, di esempi. Noi siamo all’altezza di ognuna delle nostre realtà? Cosa faremmo se fosse nostro figlio a sbagliare? Quante volte sentiamo di genitori che aggrediscono i professori che mettono un voto basso o che riprendono un ragazzo. Quanti genitori non vogliono accettare una critica o ammettere quando c’è un problema. È una questione di vergogna? Si innescano forse quei meccanismi del “cosa diranno gli altri”, “come appariremo davanti agli occhi della società”. E ancora, ammettere che qualcuno a noi caro abbia un problema, un limite, un disagio, implica dover ammettere che anche noi abbiamo fallito. E per un genitore, forse più di tutti gli altri, ammettere un proprio fallimento è sempre difficile.

Ma quando ci troviamo di fronte a queste tragedie non possiamo far finta di nulla.

Ripartiamo dalle basi. Ricominciamo a parlare di più con i giovani. Anche se parlano una lingua diversa dalla nostra. Anche se il tempo a disposizione è poco. Anche se il lavoro ci ruba tutto il tempo, e poi la casa, le bollette, la fatica di arrivare a fine mese. Il dialogo, riprendiamolo. Quanto conosciamo i nostri ragazzi? Ogni genitore, ed educatore, risponderebbe “tanto”. Siete sicuri? Cosa diranno quelli che conoscevano i ragazzi di oggi? E quelli di ieri? Perché questa non è una vicenda isolata. Le storie di violenza che sentiamo, che riguardano i ragazzi, sono così tante che nemmeno ci facciamo più caso. È di pochi giorni fa la notizia di alcuni ragazzi che hanno bullizzato un loro compagno disabile. Uno di loro ha fatto il video e poi l'ha passato agli altri, funziona così.

Ecco un altro aspetto da attenzionare. Non c’è mai pentimento, non c’è mai vergogna per ciò che si è fatto. Anzi, c’è un meccanismo perverso che porta i ragazzi a voler rivedere la violenza commessa. Nessun dolore nel vedere il male fatto, forse non ne hanno nemmeno percezione. Dipende da noi? Che adulti siamo? Come reagiamo di fronte al dolore? Perché se non ci sconvolgiamo più, se accettiamo che questa è ormai la normalità, non possiamo poi pretendere che non lo sia per i ragazzi.

Oggi è accaduto alla signora anziana di Messina, domani a chi toccherà? Quale dei nostri ragazzi sbaglierà? Per ognuno che si sente sicuro dei propri ragazzi, considerati di solito i più bravi e buoni, la vita ci dà uno schiaffo in faccia e ci ricorda che nessuno è immune dallo smarrimento culturale, familiare ed emotivo che la nostra società sta attraversando. Miglioriamo noi stessi, per poter offrire il meglio ai ragazzi. E se non vogliamo migliorare noi, pensiamo almeno a loro. Per ogni giovane smarrito è la società che si smarrisce.



Giulia Tolace

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